Gente di poca fede. Il sentimento religioso nell’Italia incerta di Dio

309 500 Carlo Parenti
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di Carlo Parenti · Viviamo in un’epoca che coltiva un’idea debole e plurale della verità: la religione non fa eccezione. Lo scenario religioso è in grande movimento in un paese in cui crescono l’ateismo e l’agnosticismo tra i giovani, i seguaci di altre fedi e culture, nuove domande e percorsi spirituali. A fronte di ciò, il legame cattolico si fa più esile, il Dio cristiano sembra più sperato che creduto, la pratica religiosa manifesta tutta la sua stanchezza. Tuttavia il sentimento religioso resta vivace nella nazione, pur in un’epoca in cui molti si rifugiano in un cattolicesimo «culturale» a difesa dei valori della tradizione. La perdita di centralità della chiesa cattolica nelle vite di tutti i giorni convive di fatto con una nuova religiosità al plurale: una fede impersonata da credenti sempre più deboli o «soli» dinanzi alle questioni dell’esistenza, che per la prima volta si confrontano con spiritualità diverse, giunte a noi attraverso la rete o le migrazioni.

Una analisi di tale scenario ci è offerta dal sociologo Franco Garelli nel suo libro “Gente di poca fede. Il sentimento religioso nell’Italia incerta di Dio” (Il Mulino,2020)

Basato su una aggiornata grande indagine nazionale, il volume restituisce l’immagine di un Paese incerto su Dio ma ricco di sentimenti religiosi, disorientato e ondivago nelle sue valutazioni etiche e morali. Tale indagine, durata un anno e mezzo, è nata dalla necessità di aggiornare i dati presentati nel volume “La religiosità degli italiani” (Milano, Mondadori, 1995). Garelli, allievo del grande laico Luciano Gallino, è stato a lungo professore ordinario di Religioni nel Mondo Globalizzato e Sociologia della religione e poi dal 2004 al 2015 preside della facoltà di Scienze Politiche nella Università di Torino. La ricerca posta a base del libro è stata talmente dettagliata che la Cei ha deciso di contribuirvi con 100.000 euro, un parziale rimborso ai ricercatori. E’ stato coinvolto un ampio campione nazionale (più di 3.200 casi), rappresentativo della popolazione di età compresa tra i 18 e gli 80 anni. Un campione dal punto di vista statistico di valore elevatissimo. Inoltre i dati empirici sono stati integrati con le indicazioni provenienti da 164 interviste libere in tutta Italia e a persone di diverse età, culture, possibilità economiche.

Un accenno ad alcuni numeri citati da Garelli: 75 cittadini su 100 credono nell’ esistenza di un «Essere superiore», prima erano 82; solo 65 pensano che la religione aiuti a trovare il senso profondo della vita, prima erano 80; solo 22 non mancano mai alla messa domenicale, prima erano 30. E poi 38 sono dubbiosi, prima erano 30; 23 ritengono che la fede riguardi le persone più ingenue e sprovvedute, prima erano 5; 76 si dichiarano cattolici, prima erano 88; 30 si ritengono attivi nell’ apostolato, prima erano 41. Negli ultimi 25 anni i non credenti sono cresciuti del 30%, mentre le altre fedi sono passate dal 2 all’ 8%. Fra i 18 e i 34 anni si riscontra la quota più alta, dal 35 al 40%, di coloro che si dichiarano senza Dio, senza preghiera, senza culto, senza vita spirituale. La preghiera assidua, che un tempo coinvolgeva il 60% della popolazione, oggi riguarda il 40%. Il 46% degli intervistati è contrario all’8 per mille alla Chiesa cattolica. I matrimoni con rito religioso a partire dal 2018 risultano meno di quelli celebrati in Comune. Sono circa il 50%, mentre negli anni Novanta erano l’ 80%. Il 20% degli italiani nega la liceità morale dell’ aborto in qualsiasi caso. L’ 83% lo accetta se vi sono gravi rischi per la salute della madre, il 78% se sussistono probabilità di malformazioni, il 70% se la gravidanza è conseguenza di uno stupro. Il diritto all’ obiezione di coscienza del personale medico, riconosciuto dal 59% dieci anni fa, ora è ammesso solo dal 36%. Il 63% è favorevole all’ eutanasia. Una percentuale raddoppiata e assai vistosa, considerato che 76 su 100 si dichiarano cattolici. Peraltro in una intervista ad Avvenire (vedi) Garelli osserva che «Al tempo del Covid cresce il bisogno di Dio».

Come osserva La Civiltà Cattolica, dal lavoro di sondaggio sulla religiosità degli italiani nell’ultimo ventennio emerge chiaramente il «pluralismo religioso» che caratterizza il panorama del nostro Paese, e quanto l’Italia si stia diversificando dal punto di vista religioso. Un riferimento importante – per la rivista- è anche l’opera “I molti altari della modernità. Le religioni al tempo del pluralismo” (Bologna, Emi, 2017) di Peter L. Berger, per il quale «il pluralismo è la sfida di gran lunga maggiore per tutte le tradizioni e le comunità religiose del nostro tempo». Berger infatti sostiene che è necessario un nuovo paradigma rispetto a quello della secolarizzazione: «Un nuovo pluralismo deve essere capace di affrontare due pluralismi: la coesistenza di diverse religioni e la coesistenza di discorsi religiosi e discorsi secolari. Tale coesistenza ha luogo sia nelle menti degli individui sia nello spazio sociale» (p. 9). Un capitolo è dedicato alle nuove forme di spiritualità di cui si parla molto nelle società occidentali «per indicare una ricerca del sacro fuori dai luoghi convenzionali della religione» (p. 165).

Osservo che papa Francesco più volte ha ricordato che «non siamo più in un regime di cristianità perché la fede – specialmente in Europa, ma pure in gran parte dell’Occidente – non costituisce più un presupposto ovvio del vivere comune, anzi spesso viene perfino negata, derisa, emarginata e ridicolizzata»[21 dicembre 2019].

Rimandando ai citati libri per i dati e le riflessioni sommariamente indicate sulla decritta situazione di crisi non posso non ricordare un discorso di papa Francesco alla Curia romana in occasione della presentazione degli auguri natalizi (vedi) .

Francesco ha voluto evidenziare il significato e l’importanza dell’essere in crisi. Ha riconosciuto innanzitutto che «la crisi è un fenomeno che investe tutti e tutto. È presente ovunque e in ogni periodo della storia, coinvolge le ideologie, la politica, l’economia, la tecnica, l’ecologia, la religione». Dunque, è una esperienza umana fondamentale ed è «una tappa obbligata della storia personale e della storia sociale». Non la si può evitare, e i suoi effetti sono sempre «un senso di trepidazione, angoscia, squilibrio e incertezza nelle scelte da fare». Francesco ricorda la Bibbia, che è popolata di «personaggi in crisi», i quali però – come anche commenta La Civiltà Cattolica (vedi) – proprio attraverso di essa compiono la storia della salvezza: Abramo, Mosè, Elia, Giovanni Battista, Paolo di Tarso e lo stesso Gesù, in particolare durante le tentazioni e poi nell’«indescrivibile crisi nel Getsemani: solitudine, paura, angoscia, il tradimento di Giuda e l’abbandono degli Apostoli», fino alla «crisi estrema sulla croce».

E questo perché? Perché «Dio continua a far crescere i semi del suo Regno in mezzo a noi». Allora chi guarda alla crisi senza farlo alla luce del Vangelo «si limita a fare l’autopsia di un cadavere». Il tempo della crisi è un tempo dello Spirito, e il Vangelo stesso mette in crisi. Perciò, «davanti all’esperienza del buio, della debolezza, della fragilità, delle contraddizioni, dello smarrimento», a ben vedere si comprende «che le cose stanno per assumere una nuova forma, scaturita esclusivamente dall’esperienza di una Grazia nascosta nel buio».

Francesco definisce la Chiesa come un «Corpo perennemente in crisi», dove la novità «germoglia dal vecchio e lo rende sempre fecondo» senza contrapporsi a esso.

Ma per Il Papa «Difendendoci dalla crisi, noi ostacoliamo l’opera della Grazia di Dio che vuole manifestarsi in noi e attraverso di noi. Perciò, se un certo realismo ci mostra la nostra storia recente solo come la somma di tentativi non sempre riusciti, di scandali, di cadute, di peccati, di contraddizioni, di cortocircuiti nella testimonianza, non dobbiamo spaventarci, e neppure dobbiamo negare l’evidenza di tutto quello che in noi e nelle nostre comunità è intaccato dalla morte e ha bisogno di conversione. Tutto ciò che di male, di contraddittorio, di debole e di fragile si manifesta apertamente ci ricorda con ancora maggior forza la necessità di morire a un modo di essere, di ragionare e di agire che non rispecchia il Vangelo. Solo morendo a una certa mentalità riusciremo anche a fare spazio alla novità che lo Spirito suscita costantemente nel cuore della Chiesa».

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