Leadership e autorità nella Chiesa sinodale

332 500 Alessandro Clemenzia
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lafontdi Alessandro Clemenzia • Può sembrare eccessivo tornare più volte sul tema della sinodalità. Non si tratta, tuttavia, di seguire un argomento di moda, ma di cercare, nelle diverse riflessioni teologiche, qualche spunto interessante che possa aiutare a non cadere, né in una scontata ripetitività, né in qualche ideologia. Interessanti sono le parole del teologo benedettino Ghislain Lafont, che in uno dei suoi ultimi libri recentemente pubblicati (Piccolo saggio sul tempo di Papa Francesco, EDB 2017), ha toccato la questione dell’autorità e della leadership in una visione sinodale di Chiesa, alla luce del magistero di Papa Francesco.

Il punto di partenza della sua riflessione è l’immagine della “piramide rovesciata”, dove si osserva il seguente ordine intraecclesiale: l’intero popolo di Dio, il collegio episcopale e il Papa. Tale ordine viene molto spesso legato all’ecclesiologia del Vaticano II, in contrapposizione a quanto era stato precedentemente affermato nel Vaticano I, con i dogmi del primato di giurisdizione del Romano Pontefice e dell’infallibilità. Lafont, contro ogni deduzione semplicistica, osserva come tale piramide rovesciata si possa intravedere già nel Prologo della Pastor Aeternus (1870), dove veniva presentato un particolare modello di Chiesa, attraverso l’articolazione di queste tre realtà:

«1) “La Santa Chiesa, nella quale, come nella casa del Dio vivente, tutti i fedeli si ritrovano uniti nel vincolo di una sola fede e della carità”. 2) “Pastori e dottori”, chiamati a servire questa unità di tutti i fedeli. 3) Affinché questo pastori e dottori formino un episcopato uno e non diviso”, e tale unione mantenga “l’intera moltitudine dei credenti nell’unità della fede e della comunione, il beato Pietro è stato stabilito come “l’intramontabile principio e il visibile fondamento della duplice unità» (p. 58).

Lo stesso ordine intraecclesiale è stato ripreso da Francesco nel discorso tenuto in occasione dell’anniversario dell’istituzione del Sinodo dei vescovi (17 ottobre 2015).

Dopo aver messo in luce questa interessante continuità con il Vaticano I, Lafont spiega come la sinodalità possa essere colta all’interno di una sua dimensione pneumatica, in quanto il suo elemento caratterizzante è l’ascolto: «L’ascolto è dono dello Spirito Santo e la sinodalità è ascolto di questo stesso Spirito» (p. 60). Tale evento dello Spirito si può scorgere già agli albori della Chiesa, nel Concilio di Gerusalemme (At 15, 7-33), dove gli apostoli, davanti alla loro incapacità di far fronte a una situazione contestuale radicalmente nuova, si sono messi in un atteggiamento di vero ascolto alla voce dello Spirito: «La Chiesa sinodale è allora una Chiesa sotto la spinta dello Spirito» (p. 60).

Come è possibile avviare un tale processo ecclesiale? Per rispondere a questa domanda Lafont parte da una situazione reale, non ideale, presentata nella rivista diocesana Église dans l’Yonne [9 (2016), 4]: qui si menzionano differenti persone (nel nostro caso unicamente donne), chiamate ciascuna per nome a svolgere una funzione particolare all’interno di una determinata parrocchia. Lafont prende avvio da questo esempio per mostrare come sia il medesimo Spirito a generare questa armonia carismatica in una comunità ecclesiale: «La sinodalità cristiana non si esprime in discussioni e confronti puramente orizzontali: essa dimora nell’ascolto della Parola e sotto il soffio dello Spirito, attraverso i carismi adeguati ad ogni persona» (p. 63).

Proprio in questa varietà carismatica, Lafont tira in causa l’autorità, anch’essa dono dello Spirito Santo, e lo fa recuperando due espressioni: una, già radicata nella tradizione ecclesiale, è quella dell’agire in persona Christi; l’altra, proveniente più dal campo della sociologia che da quello ecclesiologico, è la leadership. Questo termine è stato più volte menzionato da Francesco durante un dialogo tenuto con la Conferenza internazionale delle superiori maggiori (12 marzo 2016): rispondendo alle diverse domande su questioni attuali, come sul femminile nella Chiesa, il Papa ha ribadito che, mentre ai soli ordinati sono riservati la parola e il sacramento durante la liturgia, nelle celebrazioni non sacramentali le religiose possono esercitare una loro leadership, che incarna in qualche modo l’autorità di Cristo. Aggiunge l’autore: «La questione – al di là dell’istituzione religiosa – si pone anche a proposito dei “poli” presenti dentro una Chiesa particolare, diocesi, nazione o perfino nella Chiesa universale» (p. 65). Ed è proprio in vista di un coordinamento tra le diverse forme di leadership che emerge il senso dell’autorità del vescovo, colui che appunto è chiamato a supervisionare, e dunque a presiedere alla sinodalità. Si domanda Lafont a proposito del termine leadership: «Non sarebbe il caso di tradurre nel linguaggio dell’ecclesiologia questa espressione presa dalla sociologia americana?» (p. 65).

Oltre alla questione linguistica, è interessante comprendere quali forme potrebbe assumere tale figura di leadership, già collaudata nelle realtà carismatiche della Chiesa, nelle Chiese locali e nelle parrocchie.

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